Il latte italiano alla maniera di Coldiretti

In occasione del Dairy Summit, ecco le problematiche del settore latteario-caseario segnalate dal presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.

“Il cibo italiano rischia di essere il più colpito dai nuovi dazi nei confronti dell’Unione europea minacciati dal presidente Usa, Donald Trump”: nella black list anche formaggi simbolo del Made in Italy, come il Parmigiano Reggiano, il Grana, il Pecorino Romano. “Il confronto con Trump e le tensioni commerciali internazionali sono la prima sfida della nuova Commissione europea. Bisogna evitare uno scontro che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico”. Solo i formaggi valgono oltre 270 milioni di euro di export negli Usa.

Intanto all’estero proliferano imitazioni, similari e falsi. Quali interessi ci sono in gioco?

Ogni anno l’italian sounding nel mondo fattura oltre 100 miliardi di euro e la mossa protezionista di Trump risponde alle sollecitazioni della lobby del falso Made in Italy alimentare. Negli ultimi 30 anni la produzione di imitazioni dei formaggi italiani in Usa è cresciuta in modo esponenziale. Secondo un nostro studio è realizzata per i 2/3 in Wisconsin e California, mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto. In cima alla classifica c’è la mozzarella con 1,89 miliardi di chili l’anno, seguita dal Parmesan (204 milioni kg), dal provolone (180 milioni kg), dalla ricotta (108 milioni kg) e dal Romano (26 milioni kg), realizzato però senza latte di pecora.

L’effetto di queste cifre per il nostro export sarà terribile.

Proprio così. Nel mercato Usa appena l’1% in quantità dei formaggi di tipo italiano è made in Italy, mentre il resto è realizzato sul suolo americano. E la stessa situazione si sta riproponendo in Russia, per via dell’embargo.

L’Ue sta cercando di risolvere la questione dazi, ma la Coldiretti è molto critica: perché?

La produzione agroalimentare italiana vale 205 miliardi (12% del Pil) e rappresenta il vero simbolo del Made in Italy con 41,8 miliardi di esportazioni che vanno ancor più sviluppate. Servono un ICE efficiente e un’Agenzia unica che accompagni le imprese verso l’internazionalizzazione, potenziando al tempo stesso il lavoro delle Ambasciate. Ma le regole devono essere uguali per tutti e, purtroppo, non è così. Le intese di libero scambio devono essere basate su parità di condizioni, efficacia dei controlli e reciprocità delle norme sugli impatti ambientali, economici e sociali. Non possiamo dare libero accesso a prodotti che sfruttano violazioni di diritti umani e dei lavoratori o dove i controlli sulla sicurezza alimentare sono inferiori ai nostri.

Il sistema Italia costa molto alle imprese agricole. Gli attuali livelli del prezzo del latte sono sufficienti a retribuire gli allevatori?

Gli allevatori italiani fanno grandi sforzi per far quadrare i conti garantendo sempre la massima qualità del prodotto. L’etichettatura d’origine per latte e formaggi ha aiutato i consumatori a fare la spesa in modo più consapevole, con riflessi sui prezzi all’origine. Per fortuna per il latte bovino spot si sfiorano i 44 centesimi/litro, siamo lontani dai 33 centesimi registrati negli anni bui. Dobbiamo legare sempre di più il prezzo alla qualità e alla tracciabilità delle produzioni, comprese quelle dei grandi formaggi Dop che assorbono più del 40% del latte munto in Italia.

Ma il prezzo continuano a farlo gli industriali?

Qualche multinazionale vorrebbe addirittura rivedere al ribasso il prezzo del latte bovino già sottoscritto con regolari contratti. Noi non ci stiamo. Gli accordi vanno rispettati. Così come deve essere rispettato il principio sancito dal piano produttivo del Grana Padano secondo il quale il prezzo del latte alla stalla deve essere correlato al prezzo del formaggio, mentre mancano almeno 3-4 centesimi per gli allevatori che vendono ai caseifici industriali. Il Pecorino è un altro dei nostri prodotti di punta in crisi e non certo per colpa degli allevatori. I problemi derivano dalla trasformazione e dalla distribuzione. Bisogna intervenire sulla filiera, e sulle inefficienze che non riguardano certo il lavoro dei pastori.

C’è poi il problema delle importazioni dall’estero di semilavorati e cagliate.

Ci stiamo battendo perché sia tolto il segreto di Stato su chi e cosa importa in Italia. Quando siamo andati al Brennero a bloccare i camion provenienti dall’estero abbiamo sempre trovato cagliate semicongelate pronte a essere trasformate in qualche prodotto caseario da vendere ai consumatori italiani. Si tratta di prelavorati industriali soprattutto dell’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. Un chilo di cagliata sostituisce circa 10 chili di latte e la presenza non è indicata in etichetta. Un inganno per i consumatori e concorrenza sleale per i produttori che utilizzano solo latte fresco italiano.

Continuano a diffondersi notizie, quasi sempre fake, sugli effetti dannosi per la salute di latte e formaggi. Come si risponde?

Coldiretti combatte le fake-news che mettono a rischio il patrimonio unico custodito dalle nostre stalle. Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, prati per il foraggio, formaggi tipici e persone, relazioni umane, reti ed economie locali. La zootecnia italiana vale 17,3 miliardi e, con circa 800mila addetti, rappresenta il 35% dell’agricoltura nazionale. Il settore lattiero-caseario italiano è troppo importante perché sia danneggiato da chi diffonde false informazioni.

Fabrizio Ratiglia

Il latte italiano alla maniera di Coldiretti - Ultima modifica: 2020-04-07T09:00:45+00:00 da Redazione Dairy