Filiera latte, tutto quello che serve sapere

Nell’ambito del settore lattiero-caseario europeo l’Italia ha un ruolo importante, essendo tra l’altro il principale Paese produttore di formaggi Dop. Il nostro Paese assicura oltre l’8% delle consegne di latte europee, esporta in prodotti lattiero-caseari, convertiti in equivalente latte (ME), il 29,3% del latte consegnato e contribuisce per il 4,7% al totale delle esportazioni europee in ME (anno 2018). In particolare, per quanto riguarda i formaggi, l’Italia è con Germania e Francia tra i primi tre mercati per volumi in Europa e quindi nel mondo. Bisogna dire che nell’Unione europea il consumo di formaggi è sostanzialmente maturo mentre cresce in modo significativo in Paesi extraeuropei (come gli Stati Uniti, i Paesi dell’Oceania e il Giappone), di qui l’importanza di lavorare per incrementare l’export. I numeri più recenti disponibili sulla filiera latte dicono che nel 2017 le consegne di latte vaccino in Italia sono risultate pari a quasi 12 milioni di tonnellate, in crescita del 3,7% rispetto all’anno precedente con un ulteriore aumento dell’1% nel 2018 (12.070 migliaia di t), mentre è tendenzialmente in diminuzione il patrimonio di vacche da latte, pari a circa 1,8 milioni di capi. Circa il 49% del latte vaccino è destinato alla produzione di Dop. Considerando anche il latte bufalino e ovi-caprino si arriva a una produzione di latte di 12,6 milioni di tonnellate. Nel 2017 si è ridotto il grado di dipendenza dall’estero, con un tasso di autoapprovvigionamento che si attesta intorno all’80%. La produzione di latte vaccino risulta concentrata nelle regioni settentrionali, con in testa la Lombardia che ha una quota del 42%. Aggiungendo Emilia Romagna, Veneto e Piemonte si arriva al 78%.

Nell’ultimo decennio il numero di aziende in produzione si è ridotto di quasi 14mila unità a fronte di un processo di forte concentrazione. Le aziende di dimensione ridotta rappresentano meno della metà degli allevamenti nazionali, ma realizzano solo il 5% della produzione totale. L’offerta nazionale risulta di conseguenza fortemente concentrata in aziende di grandi dimensioni che, pur rappresentando oltre un quinto della numerosità totale, realizzano circa il 76% della produzione.

Il quadro produttivo e l’export

Nella fase di trasformazione il lattiero-caseario incide per il 12% sul fatturato totale del settore alimentare, per un valore che sfiora i 16 miliardi di euro. Nel 2017, rispetto all’anno precedente, è cresciuta dell’1,3% la produzione di latte alimentare (2,459 milioni di t), del 2,3% quella di formaggi (1,261 milioni di t), del 2,9% la produzione di yogurt (325mila t), mentre è diminuita del 3,6% quella di burro (91mila tonnellate).

Il 2018 evidenzia al contrario produzioni generalmente in calo (Tab. 1): del 4,4% per il latte alimentare (2,352 milioni di t), del 13,2% per yogurt e altri latti fermentati (282mila t), del 2,5% per i formaggi e dello 0,9% per il burro (90mila t), mentre è cresciuta del 4,8% la produzione di panna (139mila t). Sul piano degli scambi con l’estero negli ultimi anni è cresciuto leggermente ma in modo costante l’import di formaggi (521mila t nel 2018) e dello yogurt, mentre è progressivamente sceso quello di latte sfuso e confezionato. Latte sfuso che ammonta comunque a 1,481 milioni di tonnellate. In ascesa l’export di formaggi: 418mila tonnellate l’anno scorso rispetto, per fare un confronto di lungo periodo, alle 329mila del 2014. Più in dettaglio, secondo l’analisi Ismea le esportazioni di formaggi e latticini italiani hanno fatto registrare un record nel 2018, con 2,8 miliardi di euro.

In particolare, dopo l’incremento a due cifre registrato lo scorso anno, le esportazioni sono cresciute del 3,7% in valore e dello 0,7% in quantità, con performance molto positive per i freschi, mozzarella in primis, (+5,4% in valore e +0,5% in quantità), Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+5,3% in valore e +5,6% in quantità), formaggi grattugiati (+7,2% in valore e +5,3% in quantità) e Gorgonzola (+4,3% in valore e +2,4% in quantità).

Positivi nel 2018 i risultati conseguiti in Francia, Germania e Regno Unito (rispettivamente +2,2%, +0,6% e +3,0%). Ma a frenare la crescita dell’esportazioni è stata soprattutto la contrazione delle vendite negli Stati Uniti (5% in meno a valore rispetto all’anno precedente) che, pur rimanendo il terzo Paese di destinazione per i formaggi made in Italy, scendono per la prima volta sotto il 10% in termini di quota di mercato in valore. Incrementi interessanti per le vendite realizzate in Giappone (+5,2% in valore), Canada (+27%), Svezia (+10%), Polonia (+10%) e, tra i mercati che emergono nonostante le quote ancora esigue, Cina e Emirati Arabi Uniti (entrambi+12%), Hong Kong (+8%) e Arabia Saudita (+9%).

I soliti punti deboli

La filiera latte nel suo complesso presenta ancora alcuni punti deboli: costi di produzione del latte in media più elevati rispetto ai concorrenti esteri e ancora una certa frammentazione del sistema produttivo caratterizzato da spiccate differenze territoriali, forte concorrenza della materia prima estera per l’approvvigionamento dell’industria nazionale (ma anche significativa competizione di prezzo di prodotti esteri nei formaggi, yogurt, semilavorati per esempio nel canale horeca), polverizzazione del sistema di trasformazione con numerose imprese dotate di impianti di modeste dimensioni (in particolare nel Centrosud), difficoltà per molte imprese di confrontarsi sul mercato con l’elevato potere contrattuale della grande distribuzione organizzata. Il tutto in uno scenario che vede alcune tipologie di latte e derivati in una fase di calo (per tutti il latte confezionato, sia fresco sia Uht) a fronte della crescita di prodotti alternativi. La risposta a queste problematiche risiede nella concentrazione dell’offerta (sia a livello di produzione latte sia di trasformazione) e nell’integrazione verticale che già si realizza in alcune importanti realtà produttive, oltre che nell’innovazione e differenziazione di prodotto per seguire i trend emergenti di consumo e nella valorizzazione soprattutto sui mercati esteri delle produzioni Dop.

La distribuzione e gli acquisti

Si stima che il valore finale generato dalla filiera latte prezzi al consumo si suddivida per il 29% al retail, per l’8% all’export e per il 63% all’horeca (tenendo conto che in quest’ultimo canale confluiscono anche gli acquisti effettuati dai ristoratori nel retail).

Con lo sviluppo dei format moderni la distribuzione ha assunto un ruolo sempre più importante nell’influenzare le dinamiche del mercato. La gdo ha un peso prevalente, sopra l’80% a valore, per categorie come latte confezionato, yogurt, burro e panna mentre nel caso dei formaggi ha tuttora un peso significativo il dettaglio tradizionale o normal trade che dir si voglia che incide ancora per oltre il 25% in valore. Per il complesso dei prodotti lattiero-caseari si può stimare che in termini di valore la gdo incida per il 79%, rispetto al 14% dei discount e al 7% del dettaglio tradizionale e altri canali.

Nella gdo hanno assunto un ruolo significativo le marche del distributore che realizzano quasi il 20% delle vendite a valore per latte e derivati confezionati a peso fisso. A differenza del passato, nel quale la marca del distributore presidiava soprattutto i segmenti di base, attualmente si sviluppa anche nelle nicchie innovative. I format moderni rappresentano un fattore di concentrazione dell’offerta rispetto alla tradizionale polverizzazione del settore, soprattutto per i prodotti a libero servizio.

Nel caso del latte Uht (953 milioni di euro nel canale iper+super), per esempio, nel 2018 i primi tre player (Parmalat, Granarolo e Centrale del latte d’Italia) hanno totalizzato il 57% a valore e il 55% nel latte fresco su un valore complessivo di 476 milioni di euro, mentre nel caso dello yogurt i primi quattro player raggiungono il 56%, nella panna Uht il 66% e nella panna fresca il 56%. In molti segmenti (soprattutto nel caso dei formaggi per i quali il peso imposto vale circa il 63% rispetto al 37% del peso variabile) il grado di concentrazione dell’offerta rimane comunque medio o medio-basso: nella mozzarella a peso fisso i primi quattro competitor realizzano il 48% del valore, più o meno allo stesso livello la concentrazione nel segmento grana e simili mentre in uno dei mercati più polverizzati, quello del burro, si arriva per lo stesso indice al 24% in valore.

L’eccezione a questo quadro è rappresentata dai formaggi freschi (spalmabili e fiocchi) dove il leader da solo raggiunge quasi l’80%. Il mercato lattiero-caseario è sostanzialmente maturo, con fenomeni peraltro significativi come il calo costante del latte fresco (negli iper+super negli ultimi due anni si sono persi 75 milioni di euro).

Tendenza salute

Complessivamente, nel primo trimestre 2018 la spesa familiare per latte e derivati è aumentata dello 0,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A emergere è soprattutto l’orientamento verso prodotti con una valenza salutista rispetto a quelli tradizionali: lo conferma la crescita di yogurt bio e latte bio (rispettivamente +11% e +14%) e del latte ad alta digeribilità, (+9% per il fresco e +5% per l’UHT). Nell’ambito dei formaggi, in un panorama stabile, un trend particolarmente favorevole è evidenziato dalla mozzarella di bufala e da prodotti ad alto contenuto di servizio come i grattugiati. I formaggi rappresentano la voce principale di spesa con il 60% del valore totale per latte e derivati (Figura 1).

Nel retail la segmentazione vede i formaggi industriali con 36% in volume, seguiti da stagionati (25,2%), duri con il 17,8% (ma oltre il 24% a valore), freschi tradizionali e innovativi con il 7,2%, formaggi fusi (5,3%) e altri (8,5%, figura 2). La mozzarella rimane la regina del mercato retail per dimensioni con poco più del 22% in volume e quasi il 18% in valore mentre i formaggi duri Dop incidono nel caso del Grana Padano per il 7,5% in volume e 9% in valore e il Parmigiano Reggiano rispettivamente per il 6,7% e l’11%.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica dei consumi (nelle Figure 3 e 4 espressi per singola categoria merceologica), in valore complessivo si può stimare l’Area 1 con una quota del 28%, l’Area 2 con il 20%, l’Area 3 con il 22% e l’area 4 con il 30%. In base a questa suddivisione la spesa per aree risulta relativamente omogenea: posta uguale a 100 la media nazionale, si hanno infatti valori indice di 105 per l’Area 1, di 104 per l’Area 2, 98 per l’Area 3 e 95 per l’Area 4.

Crescono le produzioni bio

Aumentano le produzioni di latte biologico sotto la spinta della domanda. Pur rimanendo una nicchia, in Germania e Francia (i primi due Paesi dell’Ue per quantità di latte prodotto) l’incremento nei primi sette mesi del 2018 è stato rispettivamente del 25,8% e del 39,8% rispetto allo stesso periodo del 2017. In Italia, dove la produzione di latte bio si può stimare incida per il 3% su quella totale, i prodotti lattiero caseari biologici sono in costante ascesa. Tra i 10 prodotti alimentari bio più venduti nella gdo+discount si collocano per esempio il latte fresco con 45 milioni di euro (+12,6% a tutto maggio 2018 e un peso del 6,3% sulla categoria) e lo yogurt intero con 36 milioni di euro (+18,3% e 7% di incidenza sulla categoria di appartenenza). L’andamento positivo riguarda quasi tutti i prodotti lattiero-caseari. Se consideriamo le vendite a peso imposto nella gdo il trend di crescita l’anno scorso complessivamente si è attestato sul 13-14% e il peso del bio sul totale latte e derivati venduti ha sfiorato il 4%.

Formaggi Dop avanzano

La produzione di formaggi tutelati aumenta costantemente e incide sempre di più sulla produzione totale, vale a dire quasi il 43% in volume. In particolare, le Dop pesano per il 41,5% nel caso dei formaggi di latte bovino (dato 2018) e per il 61,4% per i formaggi prodotti da altro latte (2017). Nel 2018 la produzione di Dop vaccine è cresciuta di circa l’1% mentre quella della mozzarella di bufala è lievitata del 5% e addirittura del 18,9% nel caso dei pecorini (Tab. 2 a pag.15). Il totale delle produzioni Dop ammontava nel 2018 a poco più di 546mila tonnellate rispetto alle 485mila di cinque anni prima. Il 62% della produzione è rappresentata da Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Tra le produzioni maggiori gli incrementi più rilevanti si sono registrati l’anno scorso per il Pecorino Romano (+22,6%), per la Fontina (+20,8%) e il Montasio (+11,4%). Sostanziale stabilità per il Grana Padano (+0,1%) e lieve incremento per il Parmigiano Reggiano (+0,4%) e per l’Asiago (+0,15%), più significativo per il Gorgonzola (+2,5%).

Claudio Troiani

Filiera latte, tutto quello che serve sapere - Ultima modifica: 2020-01-29T09:00:26+00:00 da Redazione Dairy