Dalle vendite all’estero una risorsa preziosa

Vola l’export caseario italiano. I dati pubblicati da Istat relativi al 2018 confermano un trend inarrestabile: superate le 418mila tonnellate e i 2,7 miliardi di euro. E con l’export cresce anche il saldo positivo della bilancia commerciale del settore caseario, che per la prima volta nella storia ha superato il miliardo di euro. Dati eccezionalmente positivi, nonostante il 2018 non abbia mostrato tassi di crescita particolarmente importanti (+0,7%), a causa di una forte contrazione negli Stati Uniti.

L’area più importante per l’export continua ad essere quella del mercato Ue, che, con 318mila tonnellate, assorbe tre quarti di tutte le nostre esportazioni casearie. A seguire, il continente americano con il 10% dei volumi (40mila t), i Paesi extra Ue (6%) e l’Asia (6%). I maggiori tassi di crescita hanno riguardato principalmente i “nuovi” mercati, quelli forse più lontani, ma sui quali gli imprenditori italiano stanno facendo grossi investimenti.

Analizzando i dati, infatti, si scopre che il continente africano, con 1.800 t, è cresciuto nell’ultimo anno del 23%, l’America Latina del 21%, Australia e Nuova Zelanda dell’11,5 e l’Asia del 5,4%. Il merito è anche degli accordi di libero scambio firmati di recente tra Ue e Paesi terzi. La Corea del Sud, tra le prime a firmare un’intesa con l’Unione europea, dalla sottoscrizione dell’accordo ha aumentato l’import dei nostri formaggi del 237%, superando le 3mila tons. Poco meno dell’intera Cina che, con 3.600 t, ha messo a segno un più che promettente +7,1%. Grazie anche al progressivamente riconoscendo le nostre Dop, come previsto dall’accordo.

Anche il tanto dibattuto accordo con il Canada ha dato i suoi frutti. Il primo anno di validità del tanto contestato Ceta si è chiuso molto più che bene per i formaggi italiani: +28,8%. Molto buone, infine, le performance registrate in Giappone: +3,5%. Un risultato destinato a migliorare grazie all’entrata in vigore -il primo febbraio- dell’accordo con l’Unione.

La mozzarella è ancora una volta la regina indiscussa dei volumi esportati, con poco meno di 100mila tonnellate. Quasi un chilo su quattro del nostro export caseario è mozzarella. Seguono Grana Padano e Parmigiano Reggiano, che in forme, in pezzi o grattugiati hanno raggiunto le 130mila tonnellate. Per quel che riguarda Grana Padano, i dati sulle performance di quello che si conferma il prodotto Dop più consumato al mondo con un totale di 4.932.996 forme sono stati illustrati dal presidente del Consorzio, Nicola Cesare Baldrighi, durante l’ultima Assemblea generale.

Con 1.938.328 forme, l’export -nel 2018- fa segnare una crescita del 5,44%. L’Europa assorbe oltre l’82% delle esportazioni con un +4,5% rispetto al 2017. La Germania si conferma primo mercato estero con un totale di 494.768 forme. Al secondo posto la Francia con 225.856, seguita dal Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo) con 156.781. La produzione si è divisa per il 36,61% a favore delle industrie e per il 63,39% delle Cooperative. Guardando, poi, nello specifico alle aree geografiche, la provincia di Mantova con 27 caseifici ha prodotto il 29,23% del totale annuo; Brescia con 28 caseifici il 22,74%; Cremona con nove caseifici il 17,81%; Piacenza con 20 caseifici l’11,37%. Il Veneto, poi, con 23 caseifici (tenendo conto anche del latte veneto lavorato fuori regione) raggiunge il 15,23%.

Con uno sguardo al futuro il presidente Baldrighi ha sottolineato che “diverse sono le iniziative in programma, la più importante delle quali riguarda lo sviluppo di un nuovo formato per il packaging delle diverse confezioni per dare maggiore omogeneità e quindi distintività al Grana Padano Dop. E soprattutto verranno introdotte due nuove categorie: il 18 mesi e il 24 mesi, Dopo il vistoso successo del Grana Padano Riserva nel 2018, cresciuto nelle vendite del 30%. Quest’anno ci attende un compito arduo perché, a fronte e della diffusa soddisfazione dei produttori in relazione ai risultati ottenuti negli ultimi anni, il distacco di prezzo con i prodotti concorrenti richiederà ulteriori sforzi per non perdere quote di mercato. Per far sì che ciò accada e conquistare nuovi spazi, dobbiamo innalzare la qualità già elevata del nostro formaggio e comunicare con ancor maggiore incisività”.

Il 2018 è stato un anno record anche per la produzione della Dop Parmigiano Reggiano, che cresce complessivamente dell’1,35% rispetto all’anno precedente. I 3,7 milioni di forme (circa 148mila tonnellate) prodotte nel 2018 rappresentano il livello più elevato nella storia del Parmigiano Reggiano. Un giro d’affari al consumo pari a 2,4 miliardi di euro per la denominazione di origine protetta che si proietta sempre più verso l’estero: una valvola di sfogo per una produzione in continua espansione che ha bisogno di nuovi spazi di mercato. Negli ultimi due anni, la produzione è infatti aumentata da 3,47 a 3,7 milioni di forme, registrando una crescita pari al 6,6%.

L’Italia rappresenta oggi il 60% del mercato, contro una quota export del 40% (+5,5% di crescita a volume rispetto all’anno precedente). La Francia è il primo mercato (11.333 tonnellate), seguito da Usa (10.439 t), Germania (9.471 t), Regno Unito (6.940 t) e Canada (3.030 t). Se Francia e Regno Unito crescono (rispettivamente 12,6% e 2,2%) la Germania frena (-4,4%) a causa della concorrenza dei prodotti similari. Al contrario, cresce il Canada (17,7%) che, grazie agli accordi Ceta, conferma le previste opportunità di sviluppo.

“Il Parmigiano Reggiano continua a crescere e ad allargare il proprio mercato -ha commentato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, in occasione della presentazione dei dati di bilancio-. Anche il 2018 è stato un anno positivo: abbiamo registrato un incremento in termini di produzione (1,35), quotazioni (2%) ed export (5,5%).

In particolare, nonostante ci sia stato un aumento di offerta di prodotto sul mercato, il prezzo ha tenuto e si è attestato intorno ai 10 euro al kg (Parmigiano Reggiano 12 mesi da caseificio produttore, prezzo medio alla produzione)”. “Il mercato estero diventa sempre più importante -ha proseguito Bertinelli- nel 2018 abbiamo infatti superato la quota record del 40%, uno sviluppo incredibile se pensiamo che solo cinque anni fa la quota era pari al 34%. I mercati più importanti sono Francia, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Canada. Il Consorzio sta investendo un budget significativo (oltre 24 milioni di euro) per promuovere la Dop in Italia e all’estero, con alcuni focus specifici su nuove aree vocate al consumo del nostro formaggio, ad esempio gli Emirati Arabi, nei quali abbiamo lanciato una campagna di comunicazione per raccontare al consumatore quali sono le differenze tra il vero Parmigiano Reggiano e il fake Parmesan”.

Il settore lattiero-caseario occupa il primo posto nell’agroalimentare con 15,9 miliardi di euro di fatturato, di cui 3 miliardi provenienti da mercati internazionali. Il trend del 2018, però, è negativo e registra una flessione del volume del 3,8%. Negli ultimi cinque anni la curva degli acquisti domestici di latte ha subito un’incrinatura, causando una riduzione di circa 250mila tonnellate, riduzione comune a molti mercati europei riconducibile a diversi fattori, tra cui le fake news e i dibattiti anti-milk. Nonostante questa flessione l’Italia si conferma il più importante produttore mondiale di formaggi Dop e Igp, con una produzione superiore alle 530mila tonnellate, più del doppio di quella francese.

Orientarsi verso l’estero diventa dunque una strada obbligata per tutti i grandi gruppi. “Il 2018 – spiega Filippo Marchi, direttore generale Granarolo- si è caratterizzato per un andamento di mercato domestico particolarmente negativo. Le performance sul comparto dairy scontano una riduzione progressiva dei consumi. Le aree di lavoro si stanno orientando sempre più verso un costante processo di innovazione prodotto e verso lo sviluppo delle vendite internazionali”. Innovazione che punta a referenze di elevato utilizzo di latte per kg di prodotto finito finale. Per esempio nell’area snack. Nel breve periodo il Paese sul quale Granarolo si concentrerà di più è la Francia, dove già fattura 150 milioni di euro, che rappresenta il mercato più importante. “Stiamo parlando del primo importatore italiano di dairy al mondo, quindi va da sé che il nostro primo obiettivo sia consolidarci lì, ma in parallelo continuare a crescere anche nel resto d’Europa a partire dall’Regno Unito, dove abbiamo acquisito Midland Food”, continua il direttore generale. Nel medio periodo, per Granarolo, saranno sempre più importanti Paesi dell’Est, come Romania e Polonia: “Qui valutiamo con interesse anche possibili acquisizioni con una logica distributiva. Infine, nel lungo termine, stiamo ragionando sui Paesi OverSeas dove in realtà avere una shelf-life breve non aiuta e quindi bisogna pensare non solo a che prodotti proporre, ma alle tecnologie che ci possono consentire di far arrivare la nostra offerta”, conclude Marchi.

L’orientamento del Gruppo Castelli allo sviluppo dei mercati esteri è storico e nel corso degli ultimi anni è stato rinforzato da precise scelte strategiche, incluse tre acquisizioni in Polonia del distributore NorthCoast e la fabbrica di mozzarella di Tinis, negli Usa con la nascita della Castelli America e l’acquisizione della fabbrica di formaggi freschi di Empire Cheese. Un altro passo importante è stata la costruzione della fabbrica di formaggi duri in Ungheria. Fino ad arrivare al passaggio di tutto il gruppo sotto l’ombrello Lactalis.

Circa il 70% delle vendite del gruppo sono rivolte all’estero, dove sono state consolidate posizioni importanti in Francia, Regno Unito, Nord Europa e il successo dei formaggi tipici italiani è ormai così globale che si stanno aprendo gli importanti mercati di Far East, Cina e India che fino a pochi anni fa erano considerati troppo piccoli per immaginare strategie diverse da quelle di affidarsi a piccoli distributori del canale gourmet.

I motivi per cui ci si orienta verso l’estero sono essenzialmente legati al posizionamento competitivo dell’azienda, frutto anche della sua storia, e a scelte di carattere economico. Le opzioni di posizionamento di Castelli sono state sempre quelle di accompagnare lo sviluppo dei formaggi tipici italiani nei grandi retailer internazionali e quindi tutti gli investimenti sono stati rivolti ad assicurare un livello di servizio competitivo attraverso la creazione di filiali e piattaforme logistiche, con una offerta ampia e flessibile che si adattasse alle esigenze di marketing dei clienti stessi. Il fatto poi, di essere un produttore diretto della maggior parte dei formaggi tipici italiani ha contribuito a dare al gruppo quel posizionamento e quella credibilità che sono alla base di una duratura relazione con i retailer.

Bisognerà vedere adesso come si evolveranno le cose per l’azienda, in seguito all’acquisizione del gruppo da parte di Lactalis che, lo scorso maggio, ha annunciato di aver raggiunto l’accordo per l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Nuova Castelli Spa, detenuto, per circa l’80%, dal fondo di investimento inglese Chartherhouse Capital Partner.

Adriano Palazzolo

Dalle vendite all’estero una risorsa preziosa - Ultima modifica: 2020-03-17T09:00:51+00:00 da Redazione Dairy