In questa intervista Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, stila l’identikit del primo settore del Made in Italy alimentare. Nata nel 1945, l’associazione riunisce oltre 200 aziende che rappresentano il 90% del fatturato complessivo del settore e tutti i prodotti lattiero-caseari. Dai tesori della grande tradizione casearia ai prodotti più moderni e innovativi.
Presidente, quali sono le priorità di Assolatte per il 2019/20?
C’è innanzitutto assoluto bisogno di una semplificazione normativa. Il nostro Paese è malato di burocrazia e ciò frena le nostre possibilità di crescita. Siamo pieni di norme obsolete, di regole che si applicano solo ai prodotti fatti all’interno dei confini nazionali e non a quelli che importiamo, leggi e decreti che si sono stratificati negli anni. Una zavorra per i nostri bilanci.
Altro tema sul quale sarebbe opportuna una riflessione seria e pacata è l’etichettatura. Sull’origine, per esempio, vogliamo accontentare le richieste dei consumatori, che chiedono più informazioni sulla provenienza. È inaccettabile, però, che i singoli Stati -compreso il nostro- decidano di bypassare le regole europee, fissando paletti che valgono solo dentro i loro confini. Lo stesso vale per l’etichettatura nutrizionale: l’immobilismo europeo ha portato a fissare regole locali. Così, nel Regno Unito vanno per la maggiore i semafori, in Francia e Belgio il nutriscore, in altri mercati è la Gdo a chiedere ai fornitori di adeguarsi ai propri standard. Bisogna che la nuova Commissione sbrogli la matassa, esercitando il ruolo che ha sempre avuto, a beneficio di tutti. Non va dimenticata la lotta alle fake-news sul latte e i nostri prodotti. La macchina del fango dei nostri detrattori usa fonti pseudoscientifiche e sfrutta internet per diffondere menzogne e false verità. Siamo stati i primi a combatterli e abbiamo attivato il mondo scientifico chiedendo di raccontare la verità. Finalmente, altri si sono uniti alla nostra battaglia, che speriamo ci permetta di fugare ogni dubbio sul prezioso ruolo del nostro latte.
Qual è oggi il corretto livello di produzione in Italia?
Difficile parlare di un livello produttivo ottimale. È evidente che la produzione di materie prime nazionali non basta a soddisfare la domanda interna. Con la fine delle quote latte, però, la situazione è migliorata: gli allevamenti italiani stanno aumentando le consegne di latte e il nostro tasso di autoapprovvigionamento migliora di anno in anno. Contiamo che si possa arrivare presto a coprire il nostro fabbisogno.
I numeri dimostrano che avevamo ragione quando chiedevamo la liberalizzazione della produzione. Per più di 30 anni il sistema ha congelato la produzione su livelli insufficienti, favorendo i Paesi nord-europei e danneggiando le aziende agricole italiane. Ora siamo in una nuova fase: ogni azienda decide liberamente il proprio livello produttivo e adegua la propria offerta alla domanda interna. Chi vuole crescere può farlo. Anche perché sa che il suo latte troverà un acquirente.
Quali sono le diversità più marcate tra filiere di latti differenti?
Il lattiero-caseario è un settore molto complesso, con problematiche diverse per ogni segmento e prodotto. Nel latte bovino viviamo una concorrenza molto agguerrita. Nei prodotti Dop ci sono regole europee che permettono di valorizzare quello che esce dai nostri stabilimenti. Così non è per molti altri prodotti: latte alimentare, yogurt, mozzarella devono confrontarsi con quelli ottenuti a pochi chilometri dai confini italiani, che arrivano sugli scaffali della distribuzione a prezzi drammaticamente competitivi e spesso occupano una fascia di mercato per noi inaccessibile.
Nel segmento della bufala, della pecora o della capra, le problematiche sono diverse. Nei formaggi ovini, per esempio, abbiamo visto i drammatici effetti della sovrapproduzione di latte e delle conseguenze di una crisi legata ai surplus.
Nella bufala, il tema è ancora diverso e la sfida è quella della shelf-life. Per conquistare i mercati più lontani bisogna trovare il modo di conservare il più a lungo possibile le caratteristiche di freschezza e di qualità di partenza. La tecnologia può fare molto e bisognerebbe accogliere a braccia aperte le novità, quando non stravolgono i processi e la qualità del prodotto finito.
E sul fronte dell’export?
Con la stagnazione dei consumi interni, l’export diventa momento indispensabile di sviluppo per portare ricchezza a tutti gli attori del sistema.
Negli ultimi anni, la crescita delle nostre vendite all’estero ha raggiunto risultati eccezionali, superando il miliardo di euro nella bilancia dei pagamenti dei formaggi. Risultati arrivati grazie a un lavoro certosino, fianco a fianco con gli importatori di mezzo mondo, che ci ha permesso di far crescere i mercati storici e moltiplicare i paesi che vogliono i nostri prodotti. C’è ancora molto da fare, sia in Europa, dove i nostri prodotti circolano facilmente ma non sono ancora conosciuti in modo adeguato, sia al di fuori dei confini Ue. Qui dobbiamo dare il nostro contributo alle trattative per il libero scambio. Per prodotti di qualità come i nostri, infatti, la questione si gioca sulle regole. Negli accordi ci deve essere l’abbattimento dei dazi e misure anti italian sounding. Se ai consumatori è data la possibilità di distinguere i nostri formaggi dalle imitazioni locali, allora non c’è storia: in futuro potremo solo crescere ancora.