Alla ricerca del gourmet sostenibile

La categoria del latte e derivati, con una quota pari al 13,7% (fonte: Ismea su dati Nielsen), rappresenta una delle voci più rilevanti nella spesa per acquisti domestici di prodotti alimentari in Italia, rivestendo per i retailer una valenza strategica, funzionale a presidiare l’area del freschissimo. All’interno del dairy un posto di assoluto rilievo è occupato dai formaggi, segmento che in questi anni ha fatto riscontrare risultati di mercato non sempre soddisfacenti. Partendo da queste considerazioni, SgMarketing ha sviluppato un’indagine realizzata in modalità Cawi (Computer Assisted Web Interviewing) che ha coinvolto un campione di 1.000 shopper di prodotti alimentari consumatori di formaggio, rappresentativo della popolazione nazionale, con l’obiettivo di comprenderne il vissuto ed il comportamento d’acquisto e consumo, ma anche gli elementi di freno e gli inneschi utili a supportare la crescita della categoria, a partire dal punto di vendita. Di seguito le principali risultanze.

Il primo elemento emergente dall’analisi è quello che pone il formaggio nella sua dimensione di prodotto familiare. La categoria viene, infatti, descritta come in grado di rappresentare, più del latte e dello yogurt, la tradizione italiana, diventando il naturale veicolo di tutti i valori correlati alla tipicità, alla cultura del territorio d’origine (73% di adesione dei rispondenti contro il 47% per il latte ed il 27% per lo yogurt) e alla piena soddisfazione palatale (il 75% degli intervistati lo connota come prodotto gustoso e saporito versus il 48% per lo yogurt ed il 33% per il latte). A rafforzare quest’ultimo elemento il fatto che, mangiato tal quale, il formaggio esprime anche una valenza sociale, come piacere da condividere in famiglia e con gli amici (54% e 53%, nell’ordine, la quota di rispondenti in accordo). Inoltre la naturale versatilità di prodotto (49%), dovuta alla disponibilità in store di assortimenti ampi e profondi, diventa un innesco funzionale a sostenere la presenza della categoria nel menu settimanale del consumatore italiano e, quindi, nel carrello dello shopper. Tutte le caratteristiche evidenziate fanno sinergia, diventando determinanti di consumo e, dunque, di acquisto a punto vendita. Di contro i formaggi scontano, rispetto agli altri latticini, un vissuto relativamente meno salutistico (43% la quota di chi ritiene i formaggi sani e genuini contro il 61% per il latte ed il 62% per lo yogurt), che ne penalizza l’appeal su alcune fasce di consumatori nel confronto con altre fonti proteiche animali (pesce e avicunicolo) e vegetali (legumi). Quando si ragiona sul concetto di qualità associato ai formaggi, gli intervistati pongono ai primi posti le caratteristiche di prodotto utili a definirne i connotati organolettici; centrale il tema della provenienza identificata dai percorsi DOP/IGP (primo attributo con il 60% di accordo tra i rispondenti), dall’italianità (49%) o dall’origine locale (38%) della materia prima, così come dalla lavorazione artigianale (42%). In questo contesto la marca assume una funzione di garanzia per un terzo del campione, facendosi, di fatto, sigillo di percorsi di prodotto autenticamente funzionali alla valorizzazione del processo agricolo.

La categoria dei formaggi, pur confermando nel vissuto del consumatore la propria dimensione di mercato maturo (l’80% del campione dichiara di non volerne variare in prospettiva i volumi), presenta, in un orizzonte temporale a tre anni, una dinamica attesa complessivamente positiva, con un saldo pari a +7% tra la quota di intervistati con attitudine dichiarata all’aumento e alla riduzione dei consumi. L’analisi ha permesso di certificare come, in generale, questa categoria merceologica soffra un percepito penalizzante sul fronte della salubrità, con il 32% di accordo tra coloro che dichiarano l’intenzione di diminuirne in futuro le quantità consumate (pari al 6% del totale campione); a questo vanno aggiunte ragioni dietetiche personali legate ad intolleranze al lattosio (citate dal 55% dei rispondenti con propensione prospettica alla riduzione dei consumi) e la mancanza di fiducia sulle modalità di allevamento e alimentazione del bestiame (terza voce con il 25% di accordo tra gli intervistati con attitudine futura al ridimensionamento dei consumi). I sopraccitati aspetti vanno ad impattare direttamente sul vissuto del consumatore rispetto alle differenti tipologie di formaggio. Analizzando la propensione al consumo futuro suddivisa per i singoli prodotti, l’analisi rileva, infatti, una performance attesa negativa per i formaggi duri e semiduri, a fronte di un saldo quote, tra consumatori rialzisti e ribassisti, pari, nell’ordine, a -10% e -4%. Di contro, le tipologie di prodotto che, sulla base delle dichiarazioni del campione, aumenteranno prospetticamente di più sono quelle che godono di un migliore posizionamento salutistico, a partire dai formaggi caprini, con un delta positivo di quasi il 15%, per arrivare alla mozzarella (7%) e ai formaggi freschi (7%). L’appagamento sensoriale sembra essere, invece, il driver capace sostenere la futura crescita degli erborinati e dei crosta fiorita, segmenti in cui si evince un differenziale positivo fra consumatori che hanno intenzione di incrementare e di ridurre i consumi rispettivamente pari a +5% e a +4%. Salubrità e gusto rappresentano, dunque, i due vettori su cui andrà a ridisegnarsi la categoria dei formaggi, coerentemente con le nuove istanze del consumatore. Se guardiamo ai momenti di consumo attuali e prospettici, il mercato dei formaggi trarrà nuova linfa a partire dalle nuove occasioni sempre più “fuori casa” (36% la quota di intervistati con attitudine attesa a tre anni rispetto al 28% attuale) e all’insegna dell’informalità dell’aperitivo (prospetticamente in grado di attrarre una quota di rispondenti pari al 32%, contro l’attuale 29%) e dello spuntino rompidigiuno (41% gli intervistati con interesse prospettico a fronte dell’odierno 35%). Per quanto riguarda il consumo domestico è interessante rilevare un orientamento crescente, nel prossimo futuro, al formaggio come ingrediente di ricette, oltre che come prodotto da consumare tal quale. Una prospettiva, quest’ultima, che apre opportunità nella proposizione di percorsi di “senso” votati a promuovere nuove modalità di preparazione più o meno elaborate e a valorizzare espositivamente l’offerta attraverso formule evolute di cross-merchandising all’interno del punto di vendita.

Sul fronte della comunicazione di prodotto è interessante sottolineare la precipua esigenza dei consumatori intervistati di vedersi raccontare il prodotto a partire dalla dimensione agricola. Rispetto a tale tematica, trasversale a tutte le categorie del freschissimo, è possibile identificare alcune aree critiche di successo legate allo storytelling della filiera, dalla materia prima al punto vendita. È la provenienza l’elemento di caratterizzazione primaria più rilevante, con il 64% degli intervistati che desidera acquisire informazioni sul luogo di produzione ed il 50% sulla fonte animale, a garanzia delle caratteristiche di prodotto. Utilizzando la gap analisys è stato, inoltre, possibile identificare le tipologie di informazioni utili a sostenere il posizionamento della categoria in reparto. Grazie al confronto tra le informazioni funzionali a guidare il consumatore sul punto vendita e quelle effettivamente intercettate oggi durante lo shopping, si sono potuti rilevare alcuni vuoti comunicativi inerenti al metodo di allevamento – alimentazione animale in primis – (con oltre il 40% degli intervistati che ne vorrebbero evidenza, contro un quasi 22% che ne registra la presenza), al racconto della filiera del latte impiegato (41% la quota sensibile a queste informazioni rispetto 24% di rispondenti che ne intercetta fattivamente la presenza) e alle pratiche sostenute in campagna a garanzia della sostenibilità produttiva (tema rilevante per il 31% del campione, ma percepito in chiave comunicazionale sul punto vendita solo dal 9%). Il consumatore conferma, dunque, una crescente sensibilità ai temi produttivi e ambientali e ne rafforza il ruolo in relazione al processo di acquisto. Tra le determinanti di selezione del miglior punto vendita per l’acquisto di formaggi rappresenta elemento imprescindibile la possibilità di scegliere prodotti antibiotic free (punteggio 8,3 su scala 1-10), senza conservanti (8,1), da filiere 100% made in Italy (8,3) e locali (8,0), così come realizzati a partire da bestiame allevato nel rispetto dei principi del benessere animale (8,2). Tutti elementi di connotazione dell’offerta verso i quali non si registra un soddisfacente presidio nei punti vendita normalmente frequentati dagli intervistati e che mettono in luce l’esigenza del reparto di comunicarsi in maniera più funzionale e rassicurante on e off line.

Nella moderna distribuzione la categoria dei formaggi viene usualmente commercializzata affiancando il take-away al servizio al banco gastronomia, una modalità a cui il consumatore si è abituato e che sempre più rappresenta un elemento di attrazione e fidelizzazione di una clientela alla ricerca di value for money. L’analisi evidenzia l’esistenza di uno zoccolo duro di clienti in GDO, pari al 30% dei partecipanti all’indagine, frequentatore abituale del reparto assistito, che destina ad esso tra il 75% ed il 100% delle proprie shopping expedition per la categoria, a fronte di una quota di non user che raggiunge appena il 4%. L’indagine certifica, inoltre, che la gastronomia va a presidiare in maniera rilevante i segmenti di consumo premium. Nello specifico, si attesta al 35% la quota dei rispondenti che riconosce esclusivamente ai prodotti venduti nel banco servito caratteristiche qualitative distintive; la stessa quota fatica, invece, a raggiungere il 4% nel caso del libero servizio. A rafforzare questo elemento contribuiscono il percepito rilevato rispetto all’integrità del prodotto e al gusto, associato in via esclusiva all’area di vendita assistita rispettivamente dal 21% e dal 30% degli intervistati; dati, questi ultimi, elevati se paragonati, nell’ordine, al 15% e al 5% registrati con riferimento al libero servizio. Per contro all’area take-away viene riconosciuto, in generale, un miglior rapporto qualità-prezzo: tale caratteristica viene, infatti, linkata esclusivamente a quest’area dal 20% del campione, a fronte di un 16% che la lega, invece, al solo banco taglio. Tutti questi connotati contribuiscono a posizionare il reparto gastronomia, nella sua interezza, a baluardo delle diverse le sfere valoriali e d’attributo necessarie a sostenere un percorso di shopping utile e gratificante.

Salvo Garipoli e Raffaello Bernardi

Alla ricerca del gourmet sostenibile - Ultima modifica: 2020-03-10T09:00:47+00:00 da Redazione Dairy